Partiamo da qui: sto studiando e testando tantissimo. E tutto quello che imparo, frutto di ore di tempo investite nel provare nuovi tool, mi piace portarlo agli altri nella mia attività di divulgatrice e formatrice.
Ho avuto la fortuna di condurre diverse sessioni formative dedicate all’intelligenza artificiale e al suo impatto sul giornalismo. È un percorso che mi ha portato a lavorare con testate importanti e con l’Ordine dei Giornalisti in varie regioni italiane.
Come ho raccontato anche su LinkedIn, ho collaborato con l’Ordine dell’Emilia Romagna e delle Marche, oltre che con i redattori de La Stampa e del Secolo XIX. Durante questi incontri ho percepito un mix di curiosità, un pizzico di timore e tanta voglia di capire come l’AI possa diventare uno strumento di supporto, senza intaccare la qualità e la credibilità del mestiere.
Lo scenario del giornalismo italiano
La situazione in Italia è un riflesso di quanto sta accadendo un po’ ovunque nel mondo, con alcune peculiarità tutte nostre. Da un lato, l’intelligenza artificiale offre soluzioni per la gestione e l’analisi dei big data: filtri automatici per selezionare le notizie più rilevanti, algoritmi che suggeriscono collegamenti inediti tra fonti, o ancora sistemi di verifica incrociata che, in linea teorica, dovrebbero aiutare a smascherare bufale o disinformazione. Dall’altro, si corre il rischio di delegare troppo a tecnologie che, per quanto raffinate, non possiedono il nostro stesso intuito, né tantomeno l’approccio critico che da sempre contraddistingue il lavoro di chi fa giornalismo sul campo.
La sfida è mantenere quell’equilibrio tra rapidità e accuratezza, tra sperimentazione tecnologica e responsabilità professionale. Non è un caso che, proprio in Italia, diversi editori stiano cercando di integrare l’AI su due livelli: come strumento di supporto nell’analisi dei dati e come potenziale fonte di ispirazione per nuovi format. Alcune testate hanno cominciato a esplorare forme di giornalismo automatizzato, specie sui contenuti più “seriali” come risultati sportivi o aggiornamenti finanziari.
Tuttavia, rimane ancora fortissima la volontà di difendere la tradizione del “fare giornalismo” in prima persona, con interviste, reportage e inchieste. È un messaggio che viene ribadito anche dall’Ordine dei Giornalisti, e che sottolinea l’importanza di non snaturare l’essenza del mestiere, che resta, appunto, un servizio alla comunità e non un puro esercizio di elaborazione algoritmica.
È necessario che gli operatori dell’informazione si formino costantemente, magari attraverso corsi e workshop dedicati, per capire come utilizzare le tecnologie in modo etico ed efficace. Al contempo, bisogna fare i conti con una mentalità che non sempre favorisce la novità: in redazioni ancora molto legate a modelli tradizionali, l’AI può suscitare diffidenza o timore di perdere il controllo sui contenuti.
Eppure, proprio perché il mercato editoriale sta attraversando un profondo cambiamento, potrebbe essere il momento giusto per sperimentare, cercando soluzioni che sappiano valorizzare sia la dimensione umana, sia il potenziale dell’automazione. Così si costruisce un dialogo costruttivo tra innovazione e competenza professionale, creando una sinergia in grado di rafforzare l’intero settore piuttosto che indebolirlo.
Il nuovo Codice Deontologico e l’Articolo 19
A ribadire con forza l’importanza dell’apporto umano c’è il Codice Deontologico delle Giornaliste e dei Giornalisti, approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine l’11 dicembre 2024. All’articolo 19 si specifica che l’uso dell’intelligenza artificiale non può sostituire l’attività del giornalista in carne e ossa.
È un segnale chiaro: la tecnologia non deve farci dimenticare che la selezione, la verifica e l’interpretazione delle notizie restano affidate alle persone. Il Codice Deontologico richiede anche che sia resa esplicita l’eventuale presenza di contenuti generati o modificati dall’AI e, soprattutto, sottolinea che non ci si può liberare dagli obblighi deontologici appellandosi alle nuove tecnologie.
Questo significa che, pur utilizzando modelli di linguaggio evoluti o strumenti di analisi automatica, il giornalista è sempre tenuto a controllare fonti, dati e veridicità di quanto pubblica.
Il Foglio AI: il test raccontato da Alessia Pizzi
Tra i casi di sperimentazione più interessanti c’è quello de Il Foglio, che ha lanciato un progetto chiamato “Il Foglio AI”. Ne ha discusso Alessia Pizzi nella sua newsletter (All’improvviso, Il Foglio AI) che ho trovato stimolante e arricchente.
Cos’è Il Foglio AI
Negli ultimi giorni, Il Foglio è finito sotto i riflettori per un esperimento editoriale che riscrive le regole del gioco: Il Foglio AI. In pratica, si tratta di una versione del quotidiano interamente realizzata da un’intelligenza artificiale, dalle notizie di politica estera fino ai pezzi di costume e società. L’idea è quella di spingersi oltre i confini dell’innovazione giornalistica e capire fino a che punto l’AI possa reggere il confronto con la scrittura umana.
A colpire è la scelta coraggiosa di sperimentare su un quotidiano noto per le sue firme e i suoi editoriali pungenti, un elemento che ha attirato l’attenzione di moltissime testate anche oltre i confini nazionali, dalla stampa europea fino a quella statunitense.
Secondo le prime reazioni – e qui sta tutto il bello di un esperimento che non nasconde gli eventuali limiti – Il Foglio AI solleva interrogativi su qualità, originalità e prospettive del giornalismo automatizzato. Da un lato, permette di produrre contenuti in tempi record e di testare lo stato dell’arte nella generazione del testo, dall’altro mette in luce le difficoltà nel tradurre la complessità del mondo in parole affidate a un algoritmo. Gli articoli “sfornati” dall’AI offrono uno spunto di riflessione su quanto l’intuizione, l’esperienza e la sensibilità umana restino fondamentali, specialmente per i temi che richiedono approfondimento e analisi critica. Non a caso, Il Foglio sta affiancando alla sperimentazione tecnologica il controllo dei propri giornalisti, che hanno il compito di monitorare e – se serve – correggere i contenuti generati.
Questa iniziativa, per quanto innovativa, non ha la pretesa di sostituire il lavoro della redazione, ma vuole piuttosto stimolare un dibattito su cosa significhi fare informazione oggi.
Per i colleghi che guardano con un po’ di timore alle potenzialità (o alle insidie) dell’AI, iniziative del genere dimostrano quanto sia necessario, anche nel giornalismo, un aggiornamento continuo delle competenze. E per chi invece considera l’AI uno strumento neutro, la lezione di Il Foglio AI è che i contenuti generati dalla macchina richiedono comunque supervisione, spirito critico e quella sensibilità che solo la penna – o la tastiera – di un cronista preparato è in grado di offrire.
Le sfide e l’importanza della formazione
L’uso dell’intelligenza artificiale nel contesto dell’informazione porta con sé molte sfide, prima tra tutte quella di natura etica. Da un lato, è necessario imparare a padroneggiare tecnologie che possono accelerare e migliorare la ricerca di dati e la produzione di contenuti. Dall’altro, bisogna evitare che l’automazione prevalga su quelle sfumature che solo l’essere umano è in grado di cogliere.
La soluzione a questo dilemma passa attraverso la formazione e la consapevolezza. Formare i giornalisti significa dar loro gli strumenti per sperimentare, testare e comprendere i meccanismi di funzionamento dei software di AI, ma anche per mantenere viva la dimensione empatica e critica che definisce la professione.
Per questo, nei corsi che ho condotto, ho sempre insistito sull’importanza di affiancare le nozioni tecniche all’esercizio del dubbio e all’allenamento costante del pensiero critico.
Le sfumature e le domande giuste
Nel giornalismo, le sfumature fanno la differenza. L’AI può aiutarci a setacciare enormi moli di informazioni, a scoprire collegamenti inaspettati, a sbobinare un’intervista e a fornire suggerimenti che lo sguardo umano potrebbe talvolta trascurare. Ma non può sostituire la capacità di un cronista di fare le domande giuste, di insistere quando qualcosa non torna, di andare a cercare la verità sotto la superficie.
Resta, infatti, fondamentale l’abilità di percepire il contesto, di empatizzare con gli interlocutori e di capire quando serve spingersi oltre la facciata delle dichiarazioni ufficiali. È in questo spazio che si gioca la credibilità del giornalismo. Puntare sulla formazione, approfondire le potenzialità dell’AI e tener fede agli impegni deontologici non sono pratiche contraddittorie, anzi, rappresentano la chiave per costruire un’informazione più solida e moderna, dove il digitale sposa l’umanità
Resta però una domanda aperta: qual è il tuo punto di vista, oggi, su questo intreccio tra AI e professione giornalistica? Hai bisogno di un confronto, di un corso di formazione o di uno scambio di idee per integrare queste innovazioni in modo etico e consapevole?
Se pensi che i tuoi colleghi meritino una guida e un supporto per affrontare al meglio queste sfide, contattami e portami nella tua redazione. Insieme, possiamo esplorare metodi e strumenti che rispettino l’identità del giornalismo, senza rinunciare a cavalcare l’onda dell’innovazione.